Quel tuffo inaspettato: disgrazie e fatalità lungo il naviglio

In un precedente articolo riguardante Stura si narrava di scampati annegamenti: molti però erano incidenti di chi nel fiume ci andava per fare il bagno.

Ben altra cosa del finire in acqua accidentalmente, vestiti da testa ai piedi, e quasi sempre tutt’altro che provetti nuotatori, come accadeva cadendo nei canali.

Capitava infatti… e soltanto per il naviglio di Bra sono accertati ben trenta casi tra l’ultimo quarantennio dell’Ottocento e gli anni Venti del secolo scorso, noti grazie al provvidenziale soccorso di chi passava nei paraggi. Non è da escludere che parecchi altri abbiano avuto invece un esito funesto, non fosse perché a farne le spese spesso erano bambini.

Il termine “trastullarsi” compare sovente per indicare una condizione di quiete, di passeggio lungo la riva, di beata tranquillità interrotta dalla caduta improvvisa nel corso d’acqua, la cui corrente era mantenuta appositamente forte per alimentare le attività produttive di filande, di setifici, di mulini e – per l’Urbanetto -, della cartiera.

Il tour del sobborgo a bagno lungo i canali fossanesi

È quanto accorso alla piccola Margherita, di quattro anni, che finendo nel canale venne poi ripescata «come spenta» da un bersagliere.

Adesso una buona parte del corso d’acqua è nascosto sotto il manto stradale, e lungo le vie sorgono case e fabbricati, ma nel 1860 la zona in cui cadde – l’odierna Via Bona di Savoia – era costellata di campi, di orti e di giardini. Il lungo tragitto in cui la bambina ha attraversato Via Cesare Battisti, ha sorpassato il ponte ed è presumibilmente sbucata in piazza Romanisio (la piazza del mercato delle Bovine) si può vedere in questa sezione di una mappa del 1883 (cliccare sopra per ingrandire):

Quando scappa… scappa

Le umane impellenze sono una necessità di tutti. I lavoratori e le operaie delle filande nei pressi del naviglio di Bra dovettero attendere il 1897 perché sul canale venisse costruita una latrina, con l’opportunità di lavarsi sommariamente (vd. qui).

Quattordici anni prima, nel luglio del 1883, fu soltanto grazie alla prontezza del muratore Carlo Oreglia se la giovanissima Antonietta Veglia non annegò, trasportata dalla corrente per oltre sessanta metri.

«… d’anni 9, lavorante alla filatura di Casavecchia… recatasi nelle vicinanze del suddetto canale per farvi i suoi bisogni vi cadde dentro e vi sarebbe perita…».

Nove anni: giusto per dar conto di cosa significasse essere lavoratrici a quell’epoca!

Sentirsi l’eroe del giorno, ovvero: come attirare l’attenzione!

“Il mondo è bello perché è vario!” recita un vecchio adagio. Nella casistica di chi finì nel Naviglio spicca un esempio a suo modo singolare: Gabriele Marcellino, nullatenente smanioso di far parlare della sua impresa, in una serata estiva del 1914 si gettò in acqua e nuotò per duecento metri.

Sperava di smuovere qualcuno a compassione invece a tendergli la mano, a fine corsa, fu Crescenzio D’Urso, custode del reclusorio cittadino, che lo aspettava sul ciglio della riva. La bravata non sortì l’effetto voluto e venne «da questi agenti municipali tratto in arresto».

Era lì… pareva aspettasse proprio me

Chissà se al piccolo Guglielmo Manassero sarà frullato in mente questo pensiero quando vide una gallina morta trasportata dalla corrente. Di certo il cadavere del pennuto riuscì a tentarlo il giusto per farlo sporgere dalla riva nel tentativo di acciuffarlo. Purtroppo per lui finì con cadere in acqua.

Come spesso viene rilevato dalle testimonianze, alla scena assisteva molta gente, ma nessuno abbastanza cuor di leone da tentare di salvarlo. Eccetto Andrea Tavella, un calzolaio che in barba alla corrente lo soccorse, non prima che il bambino avesse già percorso una quarantina di metri. Della gallina nulla più si seppe.

“Buon vino fa buon sangue” ma talvolta può dar alla testa

Pomeriggio inoltrato, maggio 1921.

Alcune lavandaie sono intente a fare il bucato presso il ponte del Salice, dove oggi c’è il monumento a loro dedicato.

Ciò che invece non c’è più è la trattoria del signor Fea vicino a San Giuseppe: quella da cui esce Antonio Mina, intorno alle 17 e trenta.

Lì aveva bevuto un mezzo litro di vino.

Fuori pasto, prima di cena: «giunto sul ponte della bealera di Bra, girò dietro il parapetto del ponte stesso e precisamente dove esiste la cunetta di destra della discesa del Salice che scarica nella bealera stessa, preso da un capogiro vi cadde dentro…».

Provvidenziali le donne, che chiamano subito soccorso.

All’appello risponderà Michele Molineris, il quale, buttandosi prontamente in acqua, salverà da morte certa l’avventore della vicina trattoria.

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Gli esempi di cui sopra sono spaccati di vita quotidiana, al pari dei gesti eroici di coloro che con senso civico hanno salvato vite umane.

Dello scampato pericolo restano anche testimonianze nella devozione popolare: l’immagine in apertura dell’articolo è un quadro votivo ottocentesco alla Vergine della Provvidenza, ritraente lo scampato pericolo di annegamento di una bambina in un corso d’acqua del fossanese, fotografato stamane presso la costituenda galleria d’arte sacra del santuario mariano.

Un ringraziamento particolare a don Pierangelo Chiaramello, rettore di Cussanio e vicario generale della diocesi, per l’assenso alla pubblicazione, e a fra Luca Gazzoni per la disponibilità concessami nell’accesso ai locali.

 

Note di riferimento