Piazza Vittorio Veneto, ovvero “nulla è per sempre”. Parte I

Una piazza dalla storia variegata quella che accoglie i fossanesi e i forestieri entrando in città dopo aver salito la strada che porta all’ingresso della via principale del centro storico (Via Roma), e che termina offrendo a sinistra la vista di una delle chiese barocche più belle del Piemonte e del monumentale complesso settecentesco dell’ospedale maggiore, e a destra il panorama della catena alpina dominata dal Monviso.

Nata dallo spianamento delle mura cinquecentesche, del bastione fortificato e di una delle quattro porte d’ingresso a Fossano… delle antiche vestigia conservò soltanto il nome – ufficiosamente –, a cavallo tra gli ultimi decenni dell’Ottocento e il primo ventennio del secolo dopo: piazza Romanisio.

Area preesistente alla piazza in una mappa del 1764 – C. G. Maffei, catasto territoriale.
Nb. le cinque croci indicano rispettive chiese: Trinità (c/o Ospedale); dietro, a sinistra quella degli Antoniani (distrutta per ampliare il monastero delle clarisse e allineare la via – oggi Lancimano); dietro, a destra, quella degli Agostiniani (oggi sala congressi Palazzo Righini); infine, a destra, la chiesa della Misericordia (oggi ex-cinema Politeama), a sinistra, un po’ più sopra, la chiesa di San Chiara (oggi fabbricato “moderno” – sigh – angolo tra piazza castello e via Lancimano).
Particolare della mappa Scarafia del 1881:
il lato sinistro dell’odierna piazza era denominato Viale di Murazzo

A cavallo tra Otto e Novecento

L’immagine più antica della costituenda piazza risale agli ultimi decenni dell’Ottocento, allorché la scuola materna era ancora a un solo piano:

Il primo intervento a corredo della piazza fu la sistemazione ad inizio Novecento di una tettoia, allocata sul lato sinistro, lunga quasi quaranta metri e larga ben dieci metri, per ospitare il mercato dei cereali.

Una sistemazione che ebbe vita breve: per inciso… pare sia una peculiarità di questa piazza la fugacità degli elementi. La tettoia verrà poi spostata nell’odierna piazza Castello, dove vi rimase fino agli anni Sessanta. Nel frattempo alla piazza fu dato un nuovo nome e, soprattutto, una connotazione del tutto diversa.

La piazza Vittorio Veneto

Il 21 maggio del 1923 la Giunta municipale deliberò l’intitolazione della piazza a Vittorio Veneto per

… rendere doveroso omaggio al valore del nostro Esercito, ed ai Caduti in guerra, ricordando colla nuova denominazione il fatto più glorioso della nostra grande epopea…

In precedenza era chiamata – come già accennato – “Romanisio”, sebbene l’indicazione, come annotava la delibera municipale, fosse impropria perché ufficialmente era “Viale dell’Asilo Celebrini di Corneliano”.

È curioso che molti fossanesi, pur a distanza di quasi un secolo dall’intitolazione ufficiale, continuino a chiamarla piazza Celebrini. Spesso la vulgata popolare riesce ad avere la meglio, e nessuna piazza è stata battezzata con tanti nomi come accade con questa, al punto che nell’uso quotidiano è prassi per molti indicarla anche come “piazza del cubo” o, per altri, con una punta di sarcasmo, “piazza d’la risü”, traslando in piemontese il corten che caratterizza arredi urbani e strutture del sito. Ma andiamo per gradi.

Il monumento ai caduti

Nella stessa delibera la Giunta autorizzava il collocamento del monumento ai caduti in guerra, definendo l’ubicazione del complesso bronzeo.

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Il 30 maggio il Consiglio comunale ratificava la delibera municipale. Nel documento è allegato anche il bozzetto proposto dallo scultore Sassi, il cui monumento era previsto misurasse dieci metri e mezzo nella sua altezza massima, nove metri di lunghezza e tre di larghezza.

Il cav. Sassi fu scelto dal neonato Comitato pro monumento ai caduti, costituitosi nel 1921, presieduto dal geom. Giuseppe Sarvia, mutilato di guerra, che riuscì a cooptare nell’iniziativa praticamente tutte le realtà associative locali e non soltanto; ogni categoria sociale; autorità militari, civili e religiose.

Lo scultore torinese così descrive il suo progetto, costituito da due gruppi scultorei e una colonna centrale:

di questi gruppi, quello di sinistra formato da due figure rappresentanti l’estrema difesa; quello di destra formato da tre figure rappresenta la famiglia del combattente, cioè:

il padre, la vedova e l’orfano, che baciando l’elmetto del caduto, quale sacra reliquia, lo porge alla madre; sulla colonna la Vittoria alata che porge corone di alloro.

L’estrema difesa.
L’estrema difesa, particolare.
L’estrema difesa, particolare.
L’estrema difesa, particolare.
La famiglia del combattente
La famiglia del combattente, particolare.
La famiglia del combattente, particolare.
La famiglia del combattente, particolare.
Dedica ai caduti
La vittoria alata.
SASSI, FRANCESCO, Monumento ai caduti, Fossano 1923 – 1941.

Il monumento costò 87.000 Lire, versate in sette rate: l’ultima venne pagata il 10 giugno del 1924.

La ricevuta riporta l’autografo dello scultore, la firma del geom. Antonio Miglio sindaco della città, quella del geom. Giuseppe Sarvia quale presidente del Comitato pro monumento ai caduti.

Il monumento entrava così a far parte della piazza, conferendo una connotazione ben precisa allo spazio urbano. La solennità dell’evento è rimarcata anche dai documenti, come il verbale di consegna inserito in una custodia in cuoio realizzata appositamente per l’occasione:

La cerimonia avvenne il 24 Aprile del 1924, come attesta la coppia di partecipazioni: una comprendente l’invito alla Messa, l’altra il ritrovo in Municipio.

Neppure il tempo di farci l’occhio: la fine del monumento

Diciassette anni è un periodo piuttosto breve per riuscire ad affezionarsi alla piazza con il monumento. D’altronde è comunque un lasso di tempo bastevole per stravolgere la vita della collettività: arriva il regime fascista e poi si entra in guerra. La dittatura mussoliniana esige bronzo per la Patria: lo si rastrella un po’ ovunque, come accade per l’oro e altri metalli. In questo caso occorre materiale per i cannoni, e Fossano – con un certo eccesso di zelo – , provvede alla causa.

Domenica scorsa con una solenne cerimonia alla quale hanno partecipato tutte le autorità, le associazioni civili, quelle combattentistiche e tutte le formazioni del Partito, dell’Esercito e delle Milizie, Fossano ha compiuto il significativo gesto di donare alla patria i bronzi adornanti il monumento ai caduti. La popolazione è intervenuta in massa ad assistere alla messa celebrata dall’eccellenza il vescovo della diocesi, ed ha ascoltato con attenzione il discorso di mons. Saracco e del Commissario del Fascio, Vice Federale Carmine. L’indomani venne immediatamente iniziata la rimozione dei gruppi; il bronzo, del peso complessivo di quintali 11, venne consegnato all’Endirot…

Così scrisse il 12 settembre del 1941 il podestà Rattalino al nostro concittadino, il senatore Balbino Giuliano, già ministro dell’Educazione Nazionale; il medesimo – giusto per amor di precisione – , che verrà ricordato dalla Storia per aver imposto ai professori universitari il giuramento di fedeltà al regime, con tutti gli eventi drammatici che ne seguirono.

… quell’altra lettera di tutt’altro tenore

La corrispondenza intorno al monumento attesta pure di una lettera dal contenuto diametralmente contrario allo spirito entusiasta dimostrato dal podestà. È comprensibile, visto che a scriverla fu l’artista che realizzò l’opera, al quale evidentemente non riuscì di prendere la notizia con filosofia:

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Tre giorni dopo il podestà Rattalino rispose allo scultore, cercando di stemperare i toni e di giustificare la scelta. Sulle responsabilità indagherà una commissione istituita dal Comitato di Liberazione Nazionale, ma trattarne qui si rischierebbe di andar fuori tema.

Il podestà concludeva la propria arrampicata sui vetri scrivendo:

Chi ha dato i figli nel fior della vita non poteva certamente negare le statue dei figli che ne erano il ricordo. Di fronte al fiero sacrificio della mamme, tutto si attenua e scompare.

Questa è l’esatta verità.

Fascisticamente

Francesco Sassi non scrisse più nulla al Comune.

Degli elementi di arredo non rimase neppure la coppia di lampioni che lo stesso Sassi aveva suggerito, di cui restano traccia in archivio di bozzetti di ditte proponenti, come quello dello stabilimento di Dalmine:

I pali tubolari Mannsmann vennero acquistati dalla Società idroelettrica Cuneo – Fossanese: erano in ghisa, alti 7,50 metri, e pesavano 200 chilogrammi.

Nella foto qui sotto, a complesso marmoreo ormai spoglio, si constata che i lampadari monumentali furono spostati e vennero sostituiti da lampioni di ben più modesta altezza e fattura.

Iniziava una nuova storia della piazza, che sarà oggetto del prossimo articolo.

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