La casa di tolleranza: controlli, modalità e pratiche (parte II)

Due erano le case di tolleranza a Fossano nell’Ottocento, e vi lavorano ragazze anche del posto. Di alcune se ne conoscono le generalità e il loro contesto familiare perché inviate in cura presso il “sifilicomio” di Torino. Sono giovanissime, come la diciottenne Anna Chiabrano, il cui padre nella primavera del 1868, nonostante lei si sia «abbandonata al turpe mestiere del meretricio», si premura di richiedere notizie e s’impegna a salire a Torino non appena sarà guarita, per «ritirarla» di persona.

O come un’altra coetanea, Maddalena Anna Maria A., pure lei ricoverata: il padre fa il tabaccaio e mantiene onorevolmente la famiglia. Le guardie civiche nel 1875 la recuperano presso le scuderie del quartiere militare, che frequenta non proprio per passioni patriottiche: viene riportata per l’ennesima volta in famiglia, però «non volle nemmeno chiedere scusa al padre, ma dopo poche ore fuggì di nuovo da casa, sebbene sia stata con le buone ricondotta».

A questo punto la prefettura suggerisce al sindaco di mandare la “traviata” all’Ufficio per la Sicurezza Pubblica «per una severa ammonizione». A poco o nulla servirà, e così sarà inviata allo “stabilimento” torinese, sperando che oltre ai controlli sanitari venga altresì «allontanata dalla cattiva vita».

Il via vai dalla casa di prostituzione al sifilicomio è così intenso che il sindaco Capelli nell’inverno del 1875 richiede al prefetto di incaricare del servizio d’accompagnamento le guardie del carcere mandamentale al posto di quelle municipali, che sono poche e vengono distolte dai servizi di utilità pubblica per andare tutto il giorno a Torino. La risposta è però negativa.

Due anni dopo il sindaco sollecita invece il delegato di Pubblica Sicurezza affinché, nell’interesse della moralità pubblica, provveda «colla massima sollecitudine acciò cessi in questa Città l’abitudine invalsa presso le due case di prostitute di fermarsi fuori dalle medesime, tanto dal lato della Via Craveri quanto da quella degli Spalti».

Immaginabile l’effetto in una città di provincia, dove i bordelli sono in pieno centro storico.

 

I clienti più affezionati

La casa che continuerà l’attività fin quasi alla metà del Novecento è proprio in Via Craveri, con un ingresso pure sull’attuale Viale Mellano, un tempo denominato “di Stura”, conosciuto dai più con il termine dialettale “vial d’la lingera”.

Le prostitute sono causa di scandali per il vescovo fossanese (cfr. qui), ma danno problemi anche alla Fanteria di stanza, tanto che il Comandante di Battaglione lamenta all’Amministrazione la diffusione di infezioni veneree in caserma.

 

In particolare «un sergente, che ebbe pure a contrarre questa malattia, ne accusa una certa Carolina, in un postribolo di lire 1». Giusto per sottolineare che a quel prezzo dovrebbero perlomeno essere sane!

Capelli ribatte che lì le ragazze sono sottoposte a visite rigorose.

Per scrupolo, tre giorni dopo, il delegato di Pubblica sicurezza trasmette i risultati della visita straordinaria fatta alle otto prostitute dal dott. Gatti: «Tutte indistintamente sono sane».

Nel verbale si specifica che due settimane prima una certa Geltrude fu inviata al sifilicomio e ne è tornata guarita, e pure “la Carolina” è sana.

Curioso l’articolo messo in aggiunta al “nome d’arte” di Maria Pagliarino, della quale è chiara l’estraneità dalla malattia, in barba alle accuse del sergente. In più il redattore si lascia scappare un commento poco burocratico: «e chi accusa costei probabilmente deve cercare altrove la ragione vera della infezione propria, ché il sottoscritto ignora di qual materia sia».

Tanto per mettere i puntini sulle “i”.

Certo è che i militari si dimostrano particolarmente affezionati al posto, visto che nell’arco di nemmeno un decennio il Maggiore Comandante di fanteria ritorna sulla questione, il 23 giugno del 1884:

«Da alcuni giorni negli individui di truppa di questo distaccamento si verificano casi frequenti di malattia sifilitica; tal fatto m’induce a pregare la Signoria Vostra di far eseguire nelle case di prostituzione di questa città una rigorosa visita, nello scopo d’impedire che l’infezione si propaghi, eliminando le prostitute da detta malattia infetta».

Si presume che per “eliminazione” alludesse all’infezione, non alle ragazze.

Il sindaco Celebrini cinque giorni dopo scrive garantendo che il consueto dott. Gatti aveva visitato la casa il giorno addietro e tutte godevano di buona salute. Puntualizza però che il 2 e il 23 giugno Maria Migliacci e Angela Billi furono mandate al sifilicomio: in effetti, «qualora i militari abbiano veramente contratto il male nel postribolo, è possibile che l’abbiano avuto dalle due predette, a cui già si provvide».

“Veramente” e “possibile” non sono termini riportati a caso nella risposta al Maggiore Comandante del 3° Battaglione.

La casa in Via Craveri ha sbaragliato la concorrenza

Sul finire del secolo esiste soltanto più una casa di tolleranza.

Nel contempo dalla prefettura è stato trasmesso un modulario – Cenni sull’andamento del servizio celtico – da compilarsi periodicamente. Ad esempio, sul questionario di inizio Novecento si scopre che nel postribolo vengono osservate le norme del Regolamento sul meretricio; che il dispensario celtico è aperto tutti i giorni dalle ore 06:00 alle 15:00; che le visite vengono effettuate mediamente 4 volte al mese.

Ciò nonostante la casa fu chiusa per un breve periodo, ma già nel 1909 venne riaperta, con il parere favorevole della Giunta municipale:

«considerati i motivi di igiene e di moralità che inducono a credere che l’esistenza di una casa di tolleranza sia un provvido preventivo contro il pericolo di mali peggiori; tenuto conto del rilevante numero di operai impiegati nei locali stabilimenti e nelle officine; e considerato inoltre che hanno sede in questa Città un reggimento di fanteria ed un distaccamento di cavalleria; onde l’assenza di una casa di tolleranza potrebbe dar luogo a gravi inconvenienti di igiene e di ordine pubblico».

Insomma, per l’amministrazione guidata dal sindaco Luigi Dompè è meglio che operai e soldati si sfoghino in un postribolo, a scanso di problemi ben peggiori!

Il cambio di gestione

Nel 1926 il titolare della licenza per l’esercizio della casa di tolleranza, un certo Tidili Giuseppe Beato Giorgio rinuncia alla gestione a favore di una nuova tenutaria, che nel decennio successivo rinnoverà la casa, aggiornandola alle moderne esigenze.

Nel 1934 infatti essa sarà innalzata e dotata di due sale d’aspetto e due stanze al pian terreno, oltre ai locali per le visite mediche, e di ben sei stanze, un salotto e una sala celtica al primo piano. Il piano superiore verrà adibito ad abitazione privata.

Ciò genera però le accese rimostranze nella Curia vescovile.

Il vicario capitolare, canonico Michele Pellegrino – il futuro cardinale e arcivescovo di Torino – indice una ferma opposizione presso il Comune e la Questura, coinvolgendo pure il prefetto, il Segretario Federale Fascista, e il Segretario politico di Fossano, per ottenerne la chiusura e lo spostamento altrove.

Sostiene che la chiesa del Gonfalone dista 60 metri; l’Opera Pia Oggero Brunetti a 55 metri; il seminario a 100 metri; il vescovado e la curia a 110 metri; l’asilo infantile Celebrini anch’esso a 110; mentre a 150 metri il ginnasio e l’avviamento commerciale. Inoltre il locale è a ridosso del viale di Stura, «meta quotidiana di passeggiate dei cittadini, come quello che offre i più attraenti panorami».

Il podestà – guarda caso quel Luigi Dompè già sindaco promotore della riapertura nel 1909 -, si ritrova nel non facile compito di barcamenarsi tra le istanze ecclesiastiche, i diritti della tenutaria, le esigenze pratiche.

Il 21 marzo diffida la maitresse, intimando la chiusura della casa di meretricio entro due mesi e lo spostamento dell’attività altrove, adducendo cause sanitarie e strutturali.

A inizio mese infatti il medico provinciale mandato dalla questura aveva denunciato carenze sanitarie e crepe sulle volte.

Il 17 marzo, per scrupolo, c’era stato un sopralluogo dell’ingegnere comunale, il quale rilevò che «le lesioni esistenti nei solai del piano terreno sono dovute in special modo all’inevitabile movimento continuo delle travi in legno su cui sono costruite le volte». Un’osservazione che ha il sentore dell’ironico, in considerazione dell’attività “movimentata” svolta nell’edificio giorno e notte. Il Capo del Civico Ufficio d’arte chiosa la relazione ritenendo che «sia da escludere il pericolo dell’incolumità e la sicurezza delle persone».

Il 25 aprile il podestà ne dà comunicazione al vicario capitolare, assicurandogli che «alla data del 21 maggio sarà pertanto chiusa, salvo a riaprirla in altra località…».

Allo scadere dei termini però cambia la gestione, e la nuova tenutaria ottiene una proroga di altri due mesi perché parrebbe intenzionata a cercare una destinazione alternativa. Guarda caso costei è stretta parente con il proprietario dell’edificio, il quale, nel contempo, avvia una richiesta di adeguamento dello stabile.

I lavori di ristrutturazione, piuttosto significativi, vengono approvati dalla Commissione d’ornato. Il giorno antecedente la scadenza della reiterata proroga il podestà emana un decreto nel quale: «È autorizzato l’esercizio della casa di meretricio negli attuali locali… È autorizzato il proprietario […] a modificare, sopralzare e sistemare la casa in conformità al progetto approvato dalla Commissione d’ornato. È fissato per l’esecuzione dei lavori il termine massimo del 31 ottobre 1934. È fatto obbligo alla tenutaria […] di non interrompere l’esercizio della casa durante i lavori di sistemazione suddetti…».

Perfino obbligata!

A fine luglio il podestà riceve una telefonata dal prefetto. Dalla risposta scritta che Dompé gli invia il 2 agosto si arguisce che il tenore non dovette essere accomodante.

Il podestà comunque spiega che l’attività di meretricio proseguirà perché la visita dell’autorevole prof. Dott. Carlo Gallia, Ispettore Dermosifilografo per la Provincia – da lui convocato per un parere professionale – ha avuto esito favorevole sotto il profilo igienico dei locali, anche per il futuro. Inoltre, come Amministrazione, è stato concesso l’innalzamento di un piano ad uso privato: a questo punto la casa di tolleranza assume una parvenza di abitazione civile, dando meno scandalo. In più la Commissione d’ornato ha richiesto il tamponamento delle finestre verso le case limitrofe, che a suo tempo causarono lamentele del vicinato per le scene a cui erano sottoposti i dirimpettai e, soprattutto, per i “suoni” emessi dall’interno.

Il podestà dimostra bastevole acume per prevenire anche osservazioni sul valore degli immobili circostanti: negli anni passati – osserva -, ci son state migliorie negli stabili limitrofi, segno che la vicinanza non aveva difficoltà a investire sul posto.

Infine il Dompè si gioca con il prefetto la carta vincente, contrapposta all’ipotesi della chiusura: «Essendo questo Comune sede, fra l’altro, di un Reggimento di Fanteria e di uno d’Artiglieria, non può per evidenti ragioni morali assumersi la responsabilità. Del medesimo parere sono pure i signori Colonelli, comandanti i due Reggimenti, che hanno già fatto pressione per evitare la chiusura della casa di meretricio».

Anche per ragioni sanitarie: in sostanza, finché c’è un bordello, esiste controllo sanitario.

Circa le pressioni del vicario capitolare, il podestà rileva d’aver fatto il suo dovere informandolo, il 30 luglio, che avrà dieci giorni di tempo per fare ricorso.

Per inciso, il podestà scrisse pure al proprietario della casa di tolleranza il giorno dopo: «è prevedibile che nel termine di dieci giorni sia prodotto un ricorso tendente ad ottenere il trasferimento in altro sito dei locali di meretricio. La S. V. è per tanto avvisata che le opere che eseguirà… s’intendono a suo rischio e pericolo, non intendendo il Comune assumersi alcuna responsabilità in ordine alla licenza data per l’esecuzione delle opere».

A dicembre del “34 il podestà comunica alla tenutaria «il nullaosta all’uso dei nuovi locali, per quanto si riferisce alle funzioni (sottolineato nel testo) della casa. Le ragazze presenti dovranno però dormire nei vecchi locali sino a che i nuovi… non saranno anch’essi dichiarati abitabili».

Il lavoro, prima di tutto.

Piuttosto intenso, se il 16 marzo del 1940 il podestà comunica che dal 1 luglio 1938 al 30 giugno 1939 soggiornarono nella locale casa di tolleranza n. 59 prostitute, tutte di nazionalità italiana; nessuna di loro espresse il desiderio di tornare a vita onesta e nessuna è stata avviata a Comitati o Patronati.

La Questura, sempre quell’anno, rimprovera al Comune di aver prorogato l’orario per la chiusura «ai soli giorni di fiera e festivi, anziché a tutti i giorni della settimana, come avreste dovuto provvedere, data la considerevole affluenza delle truppe in codesta città nell’attuale periodo di emergenza… e così pure vorrete autorizzare la tenutaria a protrarre tutti i giorni di un’ora l’orario normale, fissato alle ore 24…».

Negli anni della Guerra aumenta il numero delle prostitute, e nel contempo la casa di tolleranza è tenuta a seguire le misure di profilassi: si va dall’obbligo di tenere affisso in luogo visibile il cartello decalogo “Come difendersi dal pericolo venereo” in tutte le sale d’attesa e nelle camere, da sostituire se deteriorato, alla compilazione dell’anagrafe delle ragazze, specificando se italiane o estere. In merito gira un corposo Elenco permanente, in continuo aggiornamento, con le generalità delle prostitute straniere da segnalare per l’allontanamento dal Regno.

Soprattutto, il Ministero dell’Interno richiede l’uso obbligatorio del profilattico di gomma e della pomata antibatterica: in una lista provinciale della Prefettura la casa di tolleranza di Fossano nel 1942 ne ha ritirati 750 per l’uso mensile, contro i 4000 di Cuneo, ma pure i 150 di Savigliano e altrettanti di Saluzzo.

Sarà con l’avvento della Repubblica che si decreterà la fine del postribolo: nel marzo del 1947 il sindaco Bima non concederà l’autorizzazione al rinnovo della licenza.

Le motivazioni?

Non particolarmente originali: sono le stesse, identiche, tali e quali già della precedente richiesta di chiusura del 1934.

 

Note di riferimento