I fuochi d’artificio per la gioia del popolo

I tuoni impetuosi sentiti ieri sera, nel lunedì della festa di san Giovenale, mi hanno riportato alla memoria quelli altrettanto sonori dei fuochi d’artificio che fino a qualche anno fa coronavano la solennità patronale.

I “fuochi di gioia”, come venivano anche denominati nei secoli addietro, erano una peculiarità della festa: immancabili e attesi come il momento più scenografico in un evento suddiviso tra le celebrazioni sacre e la fiera cittadina, che per l’occasione annoverava anche un mercato del bestiame.

Peraltro accadeva che gli spettacoli pirotecnici venissero allestiti pure per circostante differenti, talvolta con risultati funesti, come quando nel carnevale del 1644 furono sistemati sulla torre civica, a lato del municipio, e malauguratamente causarono un incendio così consistente da costringere l’amministrazione a riedificarla quasi del tutto.

Di norma era la Città a provvedere alla spesa, che a metà Settecento ammontava alla non indifferente cifra di duecento lire.

Nel 1757 l’eccezione

Un impresario, affacciatosi sulla scena locale con molta intraprendenza, tanto da attirarsi anche guai giudiziari per operazioni immobiliari – di abusi edilizi, diremmo oggidì –, fu eletto rettore della Compagnia di san Giovenale: si trattava di Carlo Domenico Lombardi «uomo di fortuna…», come lo definisce un cronista dell’epoca.

Costui, oltre alla consueta somma stanziata dall’amministrazione cittadina, decise di compartecipare nella spesa «così vi furon in codesto anno eretti tre albori di detti fuochi artificiali, oltre alle solite ruote e fontane sparse lungo la strada, cioè il solito in mezzo la piazza, un altro dirimpeto la contrada della Nunziata, ed un altro al pié del ramparo del Salice, con canto due vasi, anche di detti fuochi, quali formavano degna prospetiva alla piazza, cosi che disposti, che dalla detta prospettiva sino al palco solito, eretto rimpetto la via che dal mercato del grano va in piazza castello, tutto era ottimamente governito».

Dunque l’albero consueto stava sulla piazza di fronte alla cattedrale, mentre gli altri due erano posizionati l’uno nei pressi dell’attuale monastero di clausura, vicino al Viale Bianco, l’altro sotto il bastione, e vi erano pure fuochi artificiali posati a terra, in vasi.

Avrebbero fatto la gioia del decreto Gabrielli e di ogni disposizione sulla sicurezza!

Apprendiamo che era consuetudine allestire un palco sull’odierna piazzetta Manfredi, all’imbocco con Via Garibaldi: in sostanza combacia con il percorso fatto domenica per la processione, dopo le direttive imposte proprio dal decreto succitato.

Allora come oggi «la pioggia scorse che han guasta le strade, e le calmità che inondaro il Piemonte han fatto restio il pié della maggior parte che destinato avevano tal piccolo romiagio, onde la festa fù goduta da’ cittadini con ogni loro comodo». Insomma, diluviò talmente che i forestieri non vennero in città e così l’evento consentì ai fossanesi di goderne agevolmente, senza la mischia della folla.

Un approccio forse un po’ campanilistico, ma anche un modo per vedere il lato positivo nella calamità.

 

L’imponente albero dei fuochi del 1758

L’anno successivo l’amministrazione commissionò una struttura maestosa.

Ci si può figurare l’imponenza osservandone il progetto:.

L’impalcatura che reggeva l’albero era alta ben 5 trabucchi, ovvero circa 15 metri; nella sezione inferiore furono collocati – al centro – un cartiglio recitante:”Sancte Juvenalis ora pro nobis “, quale rimando ad onore del patrono, mentre a lato – simmetricamente  – una coppia di stemmi della città di Fossano, per rimarcare la committenza pubblica.

Ai fratelli Marchetti furono commissionate 400 fontane illuminate; 12 castagnoni; otto ruote attorno alla base da 7 tiri ciascuna; quattro nella galleria da 14 tiri caduna; altre quattro ruote a stella sopra la galleria con ventisei tiri ognuna; un fuoco in cima con una ruota da 80 tiri, più altri «superiormente che servono di premitura a detta ruota». Il palco inoltre era munito di 48 fusettoni e di fusette; 7 giochi di terra; 24 tra girafoli (vedi nota esplicativa sotto) e fontanelle, più sei casse di fusette per terra, composte ciascuna di 9 fusette.

«Tutti i tiri dovranno esser caricati per l’estensione di oncie due e mezza caduno e di proporzionata grandezza! (l’esclamativo è segnato in originale nel capitolato)».

Ogni festa ha i suoi scalmanati

La nostra società non vanta l’esclusiva sugli incivili che negli eventi pubblici non perdono occasione per far danni, e magari per generare potenziali pericoli per l’incolumità dei presenti.

A Fossano un episodio che avrebbe potuto diventare foriero di una strage avvenne proprio in occasione della festa patronale nel 1778.

Infatti taluni «sfacendati» che giravano intorno all’albero dei fuochi d’artificio notarono la corda di sicurezza e «per divertirsi disfecero il nodo del canape che atorno la base il sosteneva, sicché vedendosi l’albero privo di sostegno, e non sendo a piombo, tosto dié a cader per terra, se un altro canape al piede, che ancor v’esistea, non ne fecea resistenza, e più di trenta persone che in circolo sulla piazza stavano, sarebbero stato bersaglio di morte».

Una situazione drammatica, sulla quale il cronista annota il proprio disappunto perché si auspicava una punizione esemplare, mentre invece gli toccò constatare che «la indulgenza popolare vi passò sopra».

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Nota esplicativa: girafoli (leggi girasoli), «piccole girandole con tre canne chiamate girafoli, [si costruiscono] ponendo in ogni lato del triangolo una canna, nel mezzo al qual triangolo vi è il suo buco colle sue boccole per maggior agilità. Quelli girafoli ordinariamente si pongono attorno a varie figure di fuoco, come si dirà nell’unione dei pezzi per formare un intiero giuoco», in ALBERTI, GIUSEPPE ANTONIO, La pirotechnia osia trattato dei fuochi d’artificio, Gio. Battista Recurti in Venezia, 1749, p. 83 ( fig. 141 p. 86).

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Note di riferimento