Bettole e osterie, trattorie e locande: le “piòle” in città

Fossano è una cittadina di quasi quattordicimila cinquecento abitanti, di cui 4380 residenti in centro e 10.099 sul territorio: è quanto emerge da una statistica redatta il 4 nevoso nel XII anno della Repubblica francese, ovvero il 24 dicembre del 1804, di cui l’originale QUI.

Tre anni prima, sempre su richiesta dell’efficiente governo d’Oltralpe – che smaniava di conoscere abitudini, attività, stato economico e produttivo dei nuovi “cittadini” al di qua della Alpi ben più di quanto non farebbe oggi Mark Zuckerberg con Facebook –, il Comune stilò l’elenco dei trenta tra osti e locandieri del fossanese, indicando con precisione anche dove esercivano.

Una sorta di “localizzazione”, al pari dell’odierna ricerca su Google: non la denominazione della via ma dell’isola – ossia l’isolato – e il numero della porta.

È un elenco del ventennio successivo ad appagare di molto l’interesse odierno, perché ci sono pure i nomi dei locali – indicati per terziere e località –, nonché suddivisi tra città, borgo e territorio. In due decenni se ne sono aggiunti sette.

Le intitolazioni delle insegne sono evocative e alcune si direbbero uscite dai racconti di Dumas o dai romanzi storici dell’epoca: “Scudo di Francia”, “Cantina Reale”, “Il gallo d’oro”, “Barra di ferro”; altre bizzarre: “Caffè Chinese” in pieno centro, “Pappagallo”, “Cuore d’oro”, perfino un “Gatto nero” in sfida alla superstizione. E poi certune, perdurate fino a pochi decenni addietro, e che di certo sono nella memoria delle generazioni più mature: “Cavaliere di Malta”, “Leon d’oro”, “Moro”, e la “Truta”.

Altre osterie si sono aggiunte negli anni a venire, in un crescendo legato all’attività dei mercati, agli insediamenti industriali e all’incremento del commercio. Spesso si trattava di locali in cui, più che per mangiare, ci si ritrovava per bere.

Non a caso la documentazione in archivio è per la maggior parte inserita sotto la voce “Pubblica sicurezza”, perché l’esercizio di somministrazione delle bevande – vino soprattutto – era sotto stretta vigilanza dell’autorità, come altresì gli aspetti legati all’aggregazione e alla quiete pubblica.

Gli esercenti erano passati al vaglio, talvolta con indagini sul territorio per ottenere maggiori informazioni su di loro, prima di ottenere la licenza, e dovevano attenersi a orari di apertura e di chiusura emanati dalla Prefettura.

Nel 1884 un manifesto del prefetto Vitelli stabilisce le 23:00 il limite per i Caffè e gli alberghi, anticipato di un’ora per le osterie, le cantine, le bettole e le rivendite di vino e liquori.

 

Si tratta di un provvedimento piuttosto generico, al quale seguirà invece un avviso del Comune ben più minuzioso, nel 1892: gli alberghi e i caffè, ritenuti meno problematici e meglio gestiti, possono aprire dalle sei e mezza del mattino nella brutta stagione, anticipata alle cinque in primavera e addirittura alle quattro in estate, e chiusura a mezzanotte per tutto l’anno. Perfino prorogabile fino all’una nelle sere con rappresentazioni a teatro, e per tutta la notte a Natale, tre notti di Carnevale, alla vigilia della festa e della fiera patronale.

Ciò attesta un movimento di avventori non trascurabile, ben incline a far serata, se non nottata, quando se ne presenti l’occasione. I Caffè – più o meno intesi come gli attuali bar di oggi – godevano di una certa fiducia per la gestione e per la clientela che li frequentava.

Caso a parte i restanti locali, spesso luogo di ritrovo di operai dopo il lavoro, ma pure di sfaccendanti, di bevitori incalliti, di perdigiorno  – questi, in dialetto locale, erano definiti “lingere” – che potenzialmente creavano disagi e problemi alla tranquillità sociale: qui l’orario di chiusura per tutti i dodici mesi all’anno, senza eccezioni, avrebbe dovuto essere le 22:00.

Il condizionale è d’obbligo.

Questo perché si poteva derogare e proprio nel dicembre del 1892 il sindaco concede l’autorizzazione a tenere dei balli pubblici nella “birreria del viale di Bra” di Anna Manfredi, e fa lo stesso per Antonio Pollano, esercente della “cantina di Sant’Antonio”, perché «non ho da lagnarmi della condotta tenuta da questi esercenti».

Però se in capo all’amministrazione arriva un sindaco meno propenso verso la mondanità, si fa intervenire il maresciallo comandante dei carabinieri. Il 21 gennaio 1898 il primo cittadino scriveva: «consta, per ripetute lagnanze, che parecchi esercizi pubblici, specie nella campagna, contravvengono abitualmente alla chiusura serale, o se apparentemente son chiusi, vi si beve o vi si giuoca entro, con grave danno delle famiglie e della pubblica moralità…».

Già aveva fatto chiudere una locanda a Loreto, adesso si attiva con un’altra a Murazzo, dove una rivendita di vino da asporto avrebbe potuto convertirsi in una bettola. Inoltre «la giunta ritiene per assolutamente eccessivo il numero degli esercizi pubblici in questa città e specie nel territorio, e siccome sono forniti di ozio e di grave turbamento nelle famiglie, e numerosi sono a proposito gli esempi dei padri di famiglia, è risoluta di porvi riparo diminuendo per quanto possibile il numero di questi».

Siamo alla fine del 1899. L’amministrazione si mantiene inflessibile: seguono dinieghi di permessi e relativi ricorsi. Soltanto nel 1912 verrà posticipata la chiusura alle 23:00 nella bella stagione, ad eccezione per le cantine e le trattorie delle frazioni: in campagna alle 22:00 si deve chiudere.

Cambia l’aria

Con l’arrivo del fascismo la gestione si fa più problematica: controlli, delatori, provvedimenti censori prima sconosciuti entrano nella vita quotidiana. Nel 1935 la Questura richiede al podestà d’intervenire su cinque locali: Paolo Ballatore del Caffè Roma, Luigi Cerati del Caffè Commercio, Giuseppe Barberis del Caffè Grande, Ernesto Cerati del Leon d’Oro, Lorenzo Tadone della Spada Reale detengono nei loro locali degli apparecchi radio-riceventi. Il podestà li diffida a captare notiziari o programmi radio non emessi dalle stazioni nazionali, ingiungendo loro di adeguarsi subito alle trasmissioni di regime per non vedersi ritirata immediatamente la licenza radiografica.

Nel contempo s’intensificano gli obblighi sulle notifiche delle persone alloggiate nelle locande e negli alberghi, mentre il Ministero dell’Interno rende noto che i controlli di polizia previsti per gli esercizi pubblici e i circoli privati non saranno applicati ai circoli del dopolavoro istituiti dall’Opera Nazionale Fascista, sui quali spetta soltanto il controllo degli organi direttivi del Fascio:

«… è evidente che nessuna delle ragioni, sia di polizia, sia di profilassi sociale, che stanno alla base delle norme di legge di Pubblica Sicurezza ricorre nei riguardi dei circoli Dopolavoro, e quindi non sarebbe conforme alle intenzioni del legislatore considerarli sottoposti a quelle norme. Devesi perciò concludere che i i Circoli Dopolavoro, per somministrare bevande alcooliche ai propri iscritti, non hanno d’uopo di autorizzazione di polizia, sempreché somministrazione e consumo avvengano soltanto nei locali dei circoli e limitatamente ai soli soci».

Con la guerra la situazione cittadina diventa ancora più pesante: il comando militare tedesco insidiatosi nella caserma attigua al castello, nell’ottica del coprifuoco, ordina l’abbandono dei locali entro le 21:00 a tutti i fossanesi, eccetto per i militari germanici e italiani, ai quali è concessa un’ora in più; due per i sotto ufficiali. È immaginabile il clima che dovevano vivere i concittadini e altresì le tensioni per i gestori.

I cambi di gestione

Con la fine del regime gli anni direttamente successivi segnano parecchi mutamenti di proprietari, soprattutto tra il 1947 e il 1948.

Qui se ne elencano alcuni, per “rispolverare” nomi più recenti rispetto a quelli d’inizio Ottocento:

trattoria “Corona grossa” (Murazzo) da Bruno Stefano a Lamberti Giovanni; “Albergo Moderno” (V. Roma 151), da Roggia Margherita a Moriena Domenica Maria; trattoria “Tre limoni” da Bongioanni Andrea a Abbà Maddalena; trattoria “Croce d’oro” da Cornaglia Stefano a Burdisso Pietro; “Caffè Baudino” da Borgogno Margherita a Tribolato Emilia, poi con l’aggiunta “ristorante”; albergo “Palocca” da Favole a Alleanza Agraria Fossanese; la “Birreria di Piazza d’armi” da Grosso Antonio a Cravero Elisabetta; trattoria “Cavallo rosso” da Morra Domenico a Dentis Nicolao; trattoria “Del falcone” da Vissio Caterina a Dogliani Anna; “Antica Trattoria Primavera” (V. Merlo 4) da Dogliani Domenico a Rocca Vincenzo; “Trattoria Roma” (V. N. Sauro 16) da Giraudo Anna a Falco Maria; l’osteria “della Ferrovia” da Parola Antonio a Fissolo Giovanni; trattoria “Sant’Antonio” da Regis Giovenale fu Bartolomeo a Regis Giovenale di Giovenale & eredi; osteria “dei Cacciatori”, da Vautretto Giuseppe a Torta Maria; “Caffè Grande” dal padre a Barberis Clito, figlio;  osteria “Corona grossa” (omonimia con Murazzo) da Aragno Secondo a Barroero Lucia, con trasferimento in Via Garibaldi 86 (in V. Garibaldi 34 ce n’era un’altra); trattoria “del bersaglio” da Dotto Pietro a Silvestro Maddalena; trattoria “Leon d’oro” da Chiesa Giorgio a Cornaglia Stefano; trattoria “Manassero” da Rivoira Matteo a Piumetti Giacomo; trattoria “del falcone” da Dogliani Anna a Giorsetti Maria; .

È significativo il ruolo delle donne, in gran maggioranza nella gestione dei locali: un dato di non poco conto con l’avvento della Repubblica.

Questa concisa carrellata sulle locande, trattorie e “piòle” si conclude evidenziando una richiesta che ha tutto il sapore della rinascita del dopoguerra: il 27 marzo 1947 Elisabetta Cravero, proprietaria della “Birreria Piazza d’Armi” domanda al Comune «il permesso per praticare nella piazza d’armi il gioco del pallone alla pentalera».

Risposta?

«Si esprime parere favorevole alla condizione che la pantalera venga sistemata ad una distanza dal viale di almeno metri tre, e che possibilmente venga rimossa quando non si gioca». Giunta Municipale del 12 Aprile 1947.

Le fotografie qui presentate si riferiscono alla “Trattoria dei pescatori” nel borgovecchio, e sono state gentilmente concesse dalla dott.ssa Lucia Pessina: provengono dall’archivio del nonno Michele Tavella, tra i fossanesi che con grande senso civico hanno aderito al progetto “Con gli occhi della Storia” per la raccolta del materiale fotografico cittadino. Si ringrazia entrambi per la collaborazione.

 

Note di riferimento