Gioie e dolori nelle acque dello Stura: alterne vicende del fiume

Ultimi giorni di gran caldo, in questa estate assolata come non si ricordava da anni. Secondo un’inveterata consuetudine molti residenti con l’arrivo della bella stagione si recano presso l’alveo dello Stura, nei pomeriggi afosi o nel fine settimana, alla ricerca di un po’ di refrigerio.

È una pratica che vanta una tradizione ultrasecolare: a poco prezzo ci si bagna nelle acque tutto sommato limpide e fresche che discendono dalle vicine montagne; si prende la tintarella, in combutta con qualche tafano e gli insetti del posto; si gode della compagnia di amici in un ambiente spartano ma naturale.

Osservando scorrere il letto del fiume tutto il contesto pare comunicare un senso di tranquillità, di pace, di silenzio. Non è stato sempre così: lo Stura infatti fu occasione di vicende talvolta funeste, talaltra perfino tragicomiche, se non grottesche.

E perfino la gioia e la serenità di un bagno rinfrescante, magari in gruppo, ha scomodato la morale e l’intervento della pubblica autorità, lambendo i confini dello scandalo e del comune senso del pudore in epoche nemmeno troppo lontane.

 

Chiare, dolci e fresche acque

Invitanti, soprattutto con l’afa.

Il primo bagno di cui si ha notizia nei documenti storici è del 1873: un fanciullo, figlio del fuochista Chey, sarebbe affogato se Pietro Lamberti, massaro di San Lazzaro, non lo avesse tratto in salvo.

Nel luglio del 1879 è la volta di Giorgio Cagliero, un contadino di 67 anni: trascinato dalla corrente fu soccorso dal cinquantacinquenne carrettiere Stefano Leone. Il merito è da attribuirsi anche a una ragazzina, Maria Mellano, che lavorava come fantesca presso Filippo Dompè, “portonajo” di San Lazzaro, la quale diede l’allarme urlando a squarciagola.

Questi ci sono noti perché, essendoci dei testimoni, l’eroismo venne verbalizzato e si poté concedere medaglie o un premio come da regio decreto del 30 Aprile 1851 n°1168.

Ma la ricompensa non sempre era scontata: quando nel 1906 a richiederla fu Luigi Ambrogio, operaio al Regio Polverificio, si sentì rispondere picche, nonostante i presenti lo avessero visto gettarsi tra i gorghi di Stura. All’episodio assistette pure il maresciallo dei Regi Carabinieri. Il sindaco rispose che il quattordicenne Felice Allasia era già cadavere quando fu riportato a riva. Aggiunse in più: «… quel giovane apparteneva a una famiglia non disagiata, ed in condizione di poter rimunerare la S. V. dell’azione compiuta».

Che andasse – insomma – a bussar cassa dai genitori.

Il medesimo sindaco Della Torre però tre anni dopo ricompenserà Domenico Arese, muratore ventenne, perché diede «prova di non comune coraggio, per essersi gettato vestito e senza indugio alcuno nell’acqua, riuscendo a trarre in salvamento il ragazzo, che altrimenti sarebbe certamente perito».

Il malcapitato bambino era Giovani Armando, che alle nove e mezza del 1 agosto faceva il bagno nel fiume con i coetanei nei pressi della cartiera Bernard, «nel cosiddetto “Gorgo (Bertò)”».

Non tutti i civili possedevano un cuore tanto impavido. Ben se ne resero conto due militari che stavano affogando. Era una sera del luglio 1913 e «nessun borghese si gettò nel fiume Stura, per il salvataggio dei due soldati di questo squadrone Cavalleria Nizza», come annotò il comandante Sandra in una lettera al sindaco, nella quale emerge che i testimoni «non osarono di gettarsi nell’acqua per tema di rimanervi annegati, essendo loro a conoscenza del pericolo di quel luogo». Ci pensò il sergente Raoul Vilrimon, esperto nuotatore. I fossanesi «che si trovavano in quel luogo, pure pei bagni», chiosava il Comandante, diedero poi una mano nel trarli a riva «però nessun borghese si gettò nell’acqua in aiuto dei poveri soldati», ci tenne a ribadire ancora.

L’eroismo dell’esercito è altrettanto rimarcato negli ufficiali. Erano le 14:30 del 18 aprile 1919 quando il tenente colonello Signoretti, che stava facendosi un giro a cavallo in compagnia della moglie Maria Capelli, incontrò proprio a Stura il capitano Rizza del 26° Artiglieria e il capitano Peroglio del I° Alpini, anch’essi a cavallo.

Seguitarono insieme il tragitto verso Sant’Albano. Dovevano trovarsi presso il ponte allorché, guadando il fiume, il cavallo della moglie dell’alto ufficiale sciovolò: la povera donna fu trascinata dalla corrente impetuosa; il marito si gettò, invano, in suo soccorso; il capitano Rizzo, nonostante fosse in avanscoperta più avanti, invece: «si buttava con il cavallo nell’acqua, nel punto in cui la corrente è più profonda e più forte, per salvare i naufraghi».

Ebbe la galanteria di mirare alla signora, che riuscì ad acciuffare per il vestito, ormai priva di sensi. Lui e l’altro capitano la trasportarono a riva. Il Rizza «con prontezza di spirito e senza perdersi di coraggio praticò subito, aiutato dal capitano Peroglio, la respirazione artificiale che ebbe felice risultato ridando dopo pochi minuti la vita alla signora».

Dell’illustre tenente colonello gli atti non fecero più menzione, segno evidente che riuscì a scampare al pericolo. Da solo, senza aiuto alcuno.

Nella variegata casistica ci sono anche tristi episodi in cui si scelse volontariamente di affogare: la sera del 12 maggio 1920 Domenico Vissio, un giovane studente di diciannove anni, mentre passava in bicicletta sul ponte di San Lazzaro udì dei gemiti e dei lamenti. Si accorse che provenivano dal fiume e senza indugiò discese alla riva e si tuffò, traendo in salvo il suicida, che venne trasportato con l’aiuto del mezzadro del cav. Negro alla vicina cascina.

L’elenco sarebbe ancora lungo – mai quanto quelli finiti nei canali e nelle bealere per le cause più disparate – ma le vicende intorno al fiume non si esaurisco qui.

 

Questioni di decenza

Estate, agosto 1926: «… si verifica… di dover vedere gruppi di giovanotti, ai quali non raramente si aggiungono gruppi di ragazze, che si bagnano nella Stura nelle vicinanze del ponte, e che alle volte si permettono anche di fare atti indecenti verso i passanti con poca edificazione della gioventù di queste parti che, specialmente nei giorni di mercato, passa numerosa per quella strada…».

A scrivere la lettera è il prevosto don Giuseppe Arese, che invoca dal sindaco provvedimenti per eliminare «lo sconcio lamentato da ogni persona onesta».

L’ordinanza viene emanata lo stesso giorno: «…gruppi di bagnanti di ambo i sessi durante le ore meridiane si soffermano nudi sul greto del fiume Stura, commettendo atti che offendono il pudore e il buon costume…» e pertanto si inviano le guardie municipali a vigilare, con il compito di segnalare all’autorità giudiziaria chi contravverrà.

I manifesti sui divieti di balneazione e sul comportamento da tenersi si susseguono nei decenni, ma spesso sono le sollecitazioni a monte che stimolano provvedimenti.

Leggendoli (cliccandovi sopra) si colgono i sottili o consistenti mutamenti di sensibilità delle amministrazioni a seconda del momento storico:

Nel 1950 la locale sezione di Gioventù Femminile di Azione Cattolica richiede perfino – invano – che si installino «apposite cabine e una più rigorosa sorveglianza, perché non si verifichi più quell’esibizionismo scandaloso che costituisce un gravissimo pericolo specialmente per l’infanzia e l’adolescenza».

Ma la proposta che, ai nostri occhi di oggi, può più far sorridere segue poco dopo:

«Domanda inoltre che vengano aboliti i cosiddetti “sleep”… perché oltre al danno morale di tutta la cittadinanza, sono esteticamente ripugnanti, e desidera che siano severamente proibiti i balli in costume da bagno».

L’onda moralista comunque investirà l’Italia tutta: l’anno dopo una circolare ministeriale infatti solleciterà il divieto per i bagnanti di spogliarsi in spiagge aperte e di farsi cure elioterapiche fuori dai centri appositi, affinché la tintarella non diventi «pretesto di sconce esibizioni».

Nel rinverdire i “bei tempi che furono” può accadere che spesso non si tenga abbastanza conto di quanto i vantaggi che il progresso e l’emancipazione di cui beneficiamo adesso siano il risultato di un percorso lungo, talvolta anche frutto di lotte accese per ottenere maggiori libertà di pensiero e di espressione che le generazioni passate non poterono invece permettersi di vivere ed esternare.

 

 

Note di riferimento
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